Microcredito in Italia – Come Funziona

Nella sua attuale applicazione, il microcredito nasce nel Bangladesh nel 1983, grazie all’opera della Grameen Bank, fondata da Muhammad Yunus, Premio Nobel per la Pace nel 2006. Il progetto di Yunus si basava e si basa tutt’ora sull’erogazione di finanziamenti di piccola entità (poche centinaia di dollari, al massimo qualche migliaio), destinati a quei soggetti generalmente esclusi dal circuito del credito, perché privi di qualsivoglia garanzia e residenti nelle aree più arretrate dei paesi poveri del pianeta.

I finanziamenti vengono concessi per l’avvio di attività di piccole dimensioni, non velleitarie, ma potenzialmente in grado di garantire il sostentamento del richiedente e della sua famiglia (si pensi a una macchina per cucire, con cui una donna svolge il lavoro di sarta). Il prestito viene erogato in solido a più persone, ossia allo stesso richiedente e ai suoi vicini del villaggio, in modo che nel caso di inadempienza, siano altri a pagare. Questo metodo disincentiva fortemente l’azzardo morale del debitore, perché egli farebbe gravare una propria scorrettezza sulle spalle dei propri amici e parenti. In più, così facendo, si abbattono anche i costi medi del finanziamento, consentendo ai gruppi di ottenere liquidità a tassi molto inferiori a quelli erogati dalle banche, realizzando il pensiero di Yunus, secondo cui ciascun individuo può essere un imprenditore. Il fatto che solo l’1% dei debitori, in media, non rispetti gli impegni è indicativo del successo del microcredito, visto che il sistema creditizio formale è caratterizzato da tassi normalmente ben superiori. Altro elemento caratterizzante il microcredito è la netta prevalenza dei clienti donne, pari al 75% del totale in tutto il mondo, ma con punte del 95% per la Grameen Bank. Tre sono le ragioni principali di questo fenomeno: le donne sono le più discriminate in molte economie povere e, pertanto, rappresentano il cliente-tipo di un istituto di microcredito; sono maggiormente rispettose delle scadenze di pagamento e onorano i debiti in misura maggiore dei clienti maschi; diversi istituti si pongono l’obiettivo di emancipare il sesso femminile, favorendo le loro iniziative di tipo imprenditoriale.

Il rimborso parte a distanza di poche settimane dalla concessione del prestito e prevede il pagamento di rate mensili entro un arco non lungo di tempo. Durante il rapporto di finanziamento, la banca creditrice invia suoi funzionari al villaggio, per verificare se l’investimento stia diventando proficuo e le eventuali difficoltà riscontrate dal cliente. Le riunioni coinvolgono tutti gli indebitati in solido, oltre al cliente di riferimento.
Il concetto di microcredito è entrato oggi nella mentalità anche delle economie sviluppate, dove sono numerosi gli istituti che si propongono di soddisfare le esigenze di liquidità dei “poveri” dei paesi ricchi, esclusi dal circuito bancario tradizionale.

A parte le varie iniziative in Italia con le casse di risparmio, rurali e di credito cooperativo, si è diffuso in Occidente negli ultimi anni il cosiddetto peer to peer, P2P, ossia forme di prestiti tra privati, nate inizialmente nei paesi anglosassoni, ma adesso oggetto anche di riconoscimento e regolamentazione della Banca d’Italia per il nostro paese.
Il P2P consiste in portali online, che mettono in contatto la domanda e l’offerta di denaro. Questo, però, viene suddiviso in numerose parti, ciascuna delle quali erogata da un finanziatore diverso, in modo da abbassare il rischio a carico di ciascuno. Il tasso è determinato da un’asta al ribasso o aderendo a quello proposta dall’intermediario. In ogni caso, il finanziatore ha il diritto di fissare il suo tasso a cui prestare denaro. Il costo del prestito, quindi, sarà determinato dalla media ponderata dei tassi dei diversi offerenti.

Il P2P rientra nel mondo del microcredito per varie ragioni, perché eroga mediamente prestiti di basso importo, perché finanzia soggetti altrimenti spesso tagliati fuori dal sistema finanziario tradizionale (ma i clienti sono sottoposti ugualmente a controllo con il Crif e soggetti a un rating sull’affidabilità creditizia) e perché gli stessi progetti finanziati hanno a volte a che fare con scopi di natura benefica o a sostegno di iniziative di avviamento imprenditoriale.

All’interno del fenomeno P2P, infatti, si sta diffondendo il cosiddetto “crowfunding”, che consiste nel finanziare attività di start-up o di natura culturale, artistica, etc. Proprio il “crowfunding” è stato regolamentato dalla Banca d’Italia nel 2013, a conferma dell’importanza che esso inizia a rivestire anche nel nostro paese.
Rispetto al microcredito in stile Grameen Bank, tuttavia, quello del P2P è più vicino alle logiche di un sistema bancario tradizionale, perché anche in questo caso, come sopra accennato, i clienti vengono selezionati sulla base delle informazioni reperite con il Crif e distinti sulla base del grado di rischio. A ciascuna categoria di rischio corrisponde un tasso differente.

Similmente al microcredito propriamente detto, anche in Italia si è diffusa negli ultimi decenni la cosiddetta finanza etica, tanto che ne è nata una banca apposita. La definizione non è agevole, ma trattasi di istituti che mirano a sostenere i finanziamenti ad associazioni ambientali, culturali, artistiche, etc., o che si astengano dall’investire denaro in attività ritenute incompatibili