Per prestiti tra privati si intendono quei finanziamenti ottenuti da soggetti non bancari, che possono essere anche amici e parenti. La legge in Italia consente a un privato di prestare denaro, purché non lo faccia a livello professionale, vietata la frequenza eccessiva, e rispetti i limiti imposti per l’eventuale tasso d’interesse applicato, soglia di usura.
In genere, si ricorre a questo tipo di finanziamento, perché è immediato, evita le formalità di un prestito classico o anche quando si è esclusi per varie ragioni dal circuito creditizio formale.
I prestiti tra privati devono essere redatti per legge secondo le disposizioni dell’art.1813 del codice civile, ossia in doppia copia (una per parte), indicante gli estremi di ciascuna parte, la firma alla fine di ogni pagina e data certa. Non è necessaria la presenza di un notaio.
Tali contratti possono prevedere l’applicazione di un tasso di interesse (prestiti fruttiferi) o meno e possono indicare l’eventuale destinazione della cifra prestata (prestito finalizzato).
Se gli interessi applicati dovrebbero essere normalmente inferiori a quelli imposti da una banca o agenzia finanziaria, esistono alcuni svantaggi sotto il profilo del trattamento fiscale. Ad esempio, a differenza di chi contrae un mutuo, il debitore non può scaricare dall’Irpef parte degli interessi passivi. Per chi eroga il prestito, poi, gli eventuali interessi attivi devono essere inseriti nella dichiarazione dei redditi al Quadro RL 2 – Persone Fisiche – Modello Unico.
In più, se il contratto viene registrato, si applicano anche le seguenti imposte indirette: 16 euro di imposta di bollo per ciascuna facciata, aliquota del 3% rispetto all’importo del prestito indicato, imposta di registro dello 0,50% sull’importo dell’eventuale ipoteca o fideiussione, imposta ipotecaria pari al 2% dell’importo dell’ipoteca.
Un prestito classico, al contrario, prevede la sola applicazione di un’aliquota dello 0,25% del valore del finanziamento erogato.
La registrazione non è obbligatoria, ma è consigliabile, specie in seguito alle nuove regole di contrasto all’evasione fiscale, che prevedono controlli sui conti correnti. Qualora un prestito fosse, infatti, accreditato con bonifico o erogato con assegno (obbligo sopra i 1.000 euro), risulterebbe difficile da spiegare al Fisco la natura di tale entrata di denaro, che potrebbe essere scambiata per reddito da lavoro in nero e soggetta, quindi, a una elevata sanzione.
Tuttavia, quando si parla di prestiti tra privati, negli ultimi anni ci si riferisce sempre più alla pratica del “peer to peer” (P2P), nota anche come social lending.
Il P2P è nato nel mondo anglosassone. Ufficialmente può ricondursi alla nascita del portale Zopa nel 2005 in Gran Bretagna, il primo a prevedere prestiti tra privati su internet, senza alcuna mediazione bancaria classica.
Il successo del P2P è giunto anche nel nostro paese, grazie ai minori interessi applicati mediamente sui prestiti erogati. Ciò è dovuto essenzialmente alla disintermediazione e ai minori costi conseguenti.
Sul portale (adesso ne esistono diversi anche in Italia), s’iscrivono diversi offerenti di denaro, mentre chi ha bisogno di un prestito richiede la somma e al contempo gli viene assegnato un rating, similmente a quanto avviene in banca. Esso è fissato dal gestore del sito (intermediario), che interroga a tal proposito le centrali di rischio. Quanto più il cliente è considerato rischioso, tanto più alto sarà il tasso di interesse applicato al prestito.
Un prestito erogato a un cliente viene suddiviso tra decine di offerenti denaro, in modo da ripartirne il rischio. Ciascuno decide autonomamente a quale tasso prestare, per cui il tasso finale è determinato dalla media ponderata dei vari tassi. Il cliente s’impegna a rimborsare il debito con rate periodiche (mensili); sarà cura dell’intermediario di far fluire l’importo a ciascun creditore per la quota-parte. Anche l’azione di recupero dell’eventuale somma non estinta avviene sempre in nome dei diversi creditori.
I finanziamenti erogati con il P2P prevedono sempre l’applicazione di un tasso fisso. Chi offre denaro può farlo o accettando il tasso stabilito dall’intermediario o partecipando a un’asta al ribasso. L’intermediario percepirà un compenso (commissione) sul prestito erogato. In cambio, si preoccupa di mettere in relazione domanda e offerta, di stabilire le politiche di pricing, di verificare l’identità e il merito creditizio del richiedente, di gestire i flussi di pagamento, di assistere le parti nel caso sia di estinzione anticipata del prestito, sia di ritardo nei pagamenti; inoltre, si attiva per la continua ricerca di nuovi clienti.
Negli ultimi tempi, all’interno del social lending si sta diffondendo anche il cosiddetto “crowfunding”, letteralmente “finanziamento collettivo”, regolamentato dalla stessa Banca d’Italia, che consiste nel prestare denaro a imprenditori per singoli progetti, spesso legati alla ricerca innovativa, oppure a organizzazioni umanitarie, culturali, etc. Anche in questo caso, coloro che prestano denaro a un singolo soggetto sono numerosi, per abbassare il rischio a carico di ciascuno.
Il social lending ha visto crescere lentamente la base dei clienti nei primi anni di vita, per via del fenomeno ancora innovativo, salvo vederla impennare successivamente, specie con lo scoppio della crisi finanziaria del 2008. Ogni sito, tuttavia, si cura che la quantità dei clienti non vada a discapito della qualità del credito, evitando che si verifichino eccessivi casi di default, i quali allontanerebbero coloro disposti a prestare denaro.